Una tragedia mineraria che non tutti ricordano: il 13 novembre del 1909 morirono 259 lavoratori, tra cui 73 italiani (44 dei quali provenienti dall’Emilia Romagna). Un disastro che si aggiunge ai drammi di Adrian (Michigan), Dawson (New Mexico), Marcinelle (Belgio) e Monongah (West Virginia), Mattmark (Svizzera).
Il disastro avvenne ad una profondità di 525 piedi al di sotto del livello del suolo, nella miniera di carbone di proprietà della St. Paul Coal Company, che alimentava i treni della Chicago, Milwaukee and St. Paul Railroad e che impiegava numerosissimi immigrati italiani.
Al momento dell’incendio stavano lavorando nei cunicoli 481 persone. In molti riuscirono però a mettersi in salvo, anche grazie all’eroico sacrificio di dodici uomini che ridiscesero per sei volte nella miniera per tentare di portare in salvo più colleghi possibili, per poi però trovare la morte nella loro settima discesa. Successivamente, nel tentativo di estinguere l’incendio, vennero bloccati gli accessi alla miniera, condannando di fatto chiunque era rimasto all’interno. Nonostante ciò, ventuno lavoratori riuscirono a sopravvivere rinchiudendosi in una galleria per otto giorni, passati i quali riuscirono a tornare in superficie.
La loro storia è narrata in modo toccante da uno di loro in un racconto di una trentina di pagine, Antenore Quartaroli, “Il Grande Disastro della Miniera di Cherry”. Emiliano anche lui emigrato nell’Illinois, morirà per un’appendicite nel 1918 a soli trentacinque anni.
Vincenzo Arcobelli, consigliere del Cgie residente negli Stati Uniti, con una delegazione ha voluto ricordare questa tragedia per mantenere viva la memoria del sacrificio dei connazionali che hanno contribuito al progresso nazionale e nel mondo.